Il termine di designer, forse per la banalizzazione che ha subito nel corso degli anni, è sempre andato stretto a Osvaldo Borsani.
In occasione di un’intervista rilasciata alla rivista Ottagono nel 1973 affermava infatti: “Quando noi usavamo il vocabolo “design” lo facevamo con rispetto profondo perché si nominava un nuovo modo di pensare e di costruire: era una parola che usavamo solo noi, gli addetti ai lavori mentre tentavamo, muovendoci in un contesto sordo e di difficile, di spiegare, introdurre, divulgare i metodi della progettazione applicata all’industria. Oggi non usiamo più questo vocabolo, talmente è volgarizzato, talmente è usato a proposito e sproposito, che a volte siamo in sospetto. Noi non siamo fatti per lavorare nel capito e nell’acquisito, cerchiamo nuovi modi e perciò per nominare nuove cose occorrono nuovi vocaboli”.
Osvaldo Borsani si considerava dunque in primo luogo un progettista quale che fosse la scala del suo intervento: un edificio, un prodotto industriale, la progettazione integrata di un ambiente, un complemento d’arredo.
Quando nell’immediato dopoguerra una committenza d’alto livello affida a Borsani la responsabilità degli interni di prestigiose dimore, Borsani intuisce che, accanto alla progettazione integrata degli ambienti con tutti gli arredi, i complementi, la coerente visione dell’insieme che cura in prima persona, occorre proporre, quasi fosse una sorta di valore aggiunto, l’intervento di artisti e decoratori che collaborano con l’architetto. Sarà dunque la realizzazione di elementi artistici che integrano l’ambiente o, come nel caso degli dettagli scultorei (maniglie, fregi, supporti, ceramiche di rivestimento per camini) pensati da Lucio Fontana ad inserirsi armonicamente negli arredi progettati da Borsani.
La collaborazione con gli artisti, che negli anni che precedono il periodo considerato aveva già connotato l’impronta del padre Gaetano con gli elementi scultorei di Giandante X e di Antonio Voltan e i pannelli dipinti da Adriano Spilimbergo e Cesare Andreoni, rappresenterà nei decenni successivi una costante nella poetica progettuale di Osvaldo Borsani. Saranno Roberto Crippa, Arnaldo e Giò Pomodoro, Aligi Sassu, Agenore Fabbri, Fausto Melotti, Andrea Cascella e Lucio Fontana gli artisti chiamati a collaborare con l’architetto in occasione di numerosi progetti integrati.
Particolarmente significativo e intenso il sodalizio con Lucio Fontana che, nel soprattutto durante gli anni cinquanta progetta elementi scultorei retroilluminati per soffitti, realizza ceramiche, fregi in bronzo, legno e stucco dorato, interviene sui piani in vetro di tavoli con decori che riprendono i dettami dello spazialismo.
All’inizio degli anni cinquanta, con le mutate esigenze del mercato e la conseguente necessità di ripensare l’assetto produttivo, distributivo e d’immagine aziendale trasformando una realtà eminentemente artigiana in una moderna industria, Osvaldo Borsani, assieme al fratello Fulgenzio crea Tecno.
Un nome programmatico, scelto per sottolineare la qualità tecnologica del progetto, Senza rinunciare alla straordinaria eredità della sapienza artigiana nel trattamento dei materiali, nella cura del dettaglio, nell’interpretazione delle forma, i progetti nati sotto il segno Tecno, la poltrona P40, il divano D70, il sistema Graphis costituiranno, grazie ad un linguaggio innovatore e particolarmente attento alla produzione di serie su grandi numeri, veri e propri riferimenti per la storia del design italiano presenti nelle collezioni museali di tutto il mondo.